Segnalo questo brano tratto da Giovani Gentile, filosofo fondatore della scuola italiana così come la conosciamo ancora oggi: “L’alterità è fonte di costrizione e di inimicizia, quindi non va solo superata, dev’essere vinta. Perciò nella lotta tra Stati si deve perseguire non solo l’annientamento d’uno dei contendenti, ma della volontà in quanto volontà avversaria. Il nemico deve riconoscere come la sua nostra volontà. Deve perciò sopravvivere e consacrare nel suo riconoscimento la nostra vittoria.” (Gentile, 1943)
Chi non sente, leggendo queste righe, l’aria delle scuole, con i loro ferrei principi gerarchici, la cattedra del maestro a ricordare la distanza siderale tra alunni e insegnante, l’impossibilità di riconoscersi nella differenza, uniformità e impossibilità di dissenso?
L’alterità è per Giovanni Gentile, un elemento da annientare per affermare la propria superiorità. Nonostante le riforme, i progressi (e le involuzioni) della scuola, possiamo davvero affermare che è la scuola il luogo in cui insegnare ai bambini il rispetto per la differenza, per l’altro, per i propri pari? O piuttosto semplicemente il timore del maestro, dell’autorità, della punizione? Quante volte ho ascoltato persone nel mondo della scuola, discorrere di bambini aggressivi, violenti, problematici, che inveivano e agivano fisicamente contro gli altri bimbi, ma considerati “tranquilli” perché sottostavano alle regole imposte dalla cattedra.