Secondo Sigmund Freud il gioco è per il bambino un’attività estremamente seria, un’occupazione che, oltre ad essere la prediletta, è un’azione creatrice, in cui il bimbo riversa le sue emozioni, crea il proprio mondo, elabora la propria relazione con la realtà. In questo il gioco dei bambini è simile alla poesia: “Non possiamo dire che ogni bambino giocando si comporta come un poeta, nel momento in cui si crea un mondo proprio, o piuttosto mentre riordina in un nuovo modo di suo gradimento le cose del suo mondo?… Il poeta si comporta come il bambino che gioca. Egli crea un mondo di fantasia che prende molto sul serio -in cui, cioè, investe una grande carica emotiva -e lo separa nettamente dalla realtà”.
E proprio la differenza tra gioco e realtà spinge Freud a considerare che l’adulto può ritrovare in qualche modo lo stato infantile del gioco attraverso l’umorismo: “crescendo gli uomini smettono quindi di giocare e sembra che rinuncino al piacere che ottenevano dal gioco. Ma chi conosce la psiche umana sa che nulla è più difficile per un uomo della rinuncia ad un piacere già provato una volta. In realtà, non possiamo mai rinunciare a qualcosa, possiamo solo sostituire una cosa ad un’altra.”