Dire che sei genitore homeschooler significa anche confrontarsi con gli altri genitori o nonni o vicini (più o meno impiccioni) che hanno reazioni del tipo: “Non hanno il confronto con gli altri”, “Ma come fai’?”, “Non puoi lavorare”, “Bè, se te lo puoi permettere” ecc.
Ovviamente fare homeschooling significa dedicare moltissimo tempo ai propri figli: significa riorganizzare la vita familiare e personale. Il tempo da dedicare al lavoro (se lavoratrici autonome o libere professioniste) diminuisce considerevolmente e la maggior parte dell’impegno è generalmente richiesto alle madri. Questo sembra essere visto come una condizione patriarcale della famiglia, come una situazione pesante e quasi umiliante per la donna. Purtroppo le lotte femministe degli anni Settanta sono scomparse, lasciando tanti equivoci interpretativi dell’idea di una reale emancipazione della donna. La donna emancipata dovrebbe avere il tempo per dedicarsi liberamente alla cura della famiglia, dei propri figli. Dovrebbe poter provare gioia e non solo fatica nell’accudimento dei bambini: dovrebbe essere affiancata dal partner, che dovrebbe avere orari flessibili e congedi parentali, o da figure professionali messe a disposizione da Servizi statali o comunali. Purtroppo questo non è possibile, e allora restano due opzioni: o prendere persone a pagamento, o mandare i figli a scuola, una scuola che è in piena emergenza, e non solo a causa del Covid.
Chiaramente la scelta delle madri, che dovrebbe essere libera e autonoma, sostenuta dallo Stato, diventa in questo modo una scelta basata sulle possibilità del singolo e comunque resta percepita come un “peso”. Questa è la più grande sconfitta per ogni movimento di emancipazione della donna: l’idea che prendersi cura dei figli sia solo un dovere da cui cercare di “fuggire” in ogni modo.