Si parla in queste ore di felicità a scuola. I bambini sono felici a scuola. Tutti, proprio tutti. Anche in questo momento di paura, di mascherine, di disinfettanti, di distanze. Sono felici. Allora penso a parole che risuonavano qualche tempo fa. Se cambiare la scuola (la scuola in “piena tensione rivoluzionaria“, non la scuola di adesso) fosse utopia o fosse un’azione di realismo. Riporto qui un estratto.
Utopia questa, di attaccare, agendo nel suo interno un’istituzione [la scuola], la cui logica, ragioni, e inerzia sono tali da macinare, attutire e livellare tutto, senza contare i condizionamenti che pone, pesanti e mutilanti; qui si aggiunge un altro pericolo, che è di essere sempre più sospinti verso il negativismo, la distruzione, la politica del peggio e della merda, senza una positività che sola può coinvolgere e mobilitare. Realismo invece sarebbe quello di un impegno alternativo non castrato né frustrato dal confronto e ingabbiamento nella struttura scolastica sostenuta dal potere.
Secondo noi, tuttavia, tra le due possibilità non c’è esclusione… Vi è una questione che realmente accomuna le tue scelte, e cioè che ambedue esigono alla base la presenza e la partecipazione di coloro che sono esclusi dal potere. Si tratta allora di formulare un’ipotesi su questo interesse alla scuola da sovvertire, da pensare e volere per sé, sapere se le masse vogliono, date certe condizioni, rifiutare la scuola così come la tiene in piedi il potere e prendere su di sé come soggetto attivo il compito di una scuola altra. Nell’uno e nell’altro caso questa volontà è condizione essenziale, data la quale le categorie utopia-realismo non avrebbero più senso, poiché un utopia realizzata è sommamente realista, e un realismo in tensione rivoluzionaria vale 1000 utopie.
E. Fachinelli